Ridolfi apre la rassegna “Vita, poesia, amore e follia di Dino Campana ” parlando di Dante e Whitman nei Canti Orfici

mercoledì 6 luglio
Concludendo la serata inaugurale della rassegna: Vita, poesia, amore e follia di Dino Campana nel Chiostro del Convento dell’Osservanza di Brisighella dove sono intervenuti anche Giovanni Tonelli ed Elisabetta Zambon
Rodolfo Ridolfi di fronte ad un numerosissimo ed attento pubblico ha detto fra l’altro:

Nel corso L’ anno di Dante mi ha riportato alla mente tre grandi eventi nel segno di Dante e di Campana che ho condiviso con il Prof. Luigi Bonaffini del Brooklin College di New York il più autorevole e competente studioso della componente dantesca in Dino Campana: il genetliaco campaniano il 20 agosto 1992 a Marradi, la giornata di Studi su Campana dell’American Association of Italian Studies nel 2004 ad Ottawa ed il convegno del 2008 a New York all’Istituto Italiano di Cultura dove Bonaffini tenne una lezione magistrale su Dante e Campana ed io parlai di Whitman e Campana.
I Canti Orfici sono un grande album di un paesaggio influenzato da citazioni culturali toscane Giotto, Michelangelo, Leonardo, Piero della Francesca immerse nel presagio dei suoi “divini primitivi” Dante e Frate Francesco. oppure in quelli barbarici e bizantini della Romagna: ‘Volevo nel paesaggio collocare dei ricordi” afferma Campana.
Mio padre definisce Campana “il più grande poeta italiano del novecento” forse con la stessa autrance di Carmelo Bene che negli anni ottanta portò su alcuni palcoscenici dei più importanti teatri italiani insieme alla lectura Dantis la lettura di Campana e ricordo per avere assistito ben due volte, a Firenze e a Prato, alle sue performances come l’attore pugliese affermasse che Dante era stato il più grande poeta italiano del Medioevo e Campana era il più grande poeta italiano del nostro novecento.
Dino Campana chiude gli Orfici con una citazione a colophon da Walt Whitman: “They were all torn/and cover’d with the boy’s blood”. che nel Song of Myself è in realtà “ The three were all torn and cover’d with the boy’s blood”. Carlo Pariani nelle sue Vite non romanzate di Dino Campana scrittore e di Evaristo Boncinelli scultore scrive: …L’epigrafe finale tradusse così: Erano tutti stracciati e coperti col sangue del fanciullo” aggiunse “E’ una poesia di un americano Walt Whitman”.
Lello Campana, anch’egli poeta e grande appassionato di armi, buon amico di famiglia più volte parlandomi di poesia mi raccontava dell’avventuroso viaggio di suo cugino Dino in Sud America e della sua partenza da Genova: “Quando partì da Genova, l’aveva accompagnato mio padre Torquato, aveva con se una lettura che lo entusiasmava Leaves of Grass di Walt Whitman e la pistola belga calibro 38” che aggiungeva Lello, “ho usato tanto anch’io”. Whitman è il centro della letteratura statunitense ma ha influenzato anche quella che attinge ad altre radici da Thomas Stern Eliot a Ezra Pound, da Federico Garcia Lorca a Borges, Pablo Neruda, Dino Campana e Cesare Pavese. Fra le sue fonti letterarie Omero, Eschilo, Dante. Come quella di Dino Campana la poesia di Whitman è permeata di Dante Alighieri che Whitman raccontò di aver letto in un bosco. L’americano che, a differenza di Campana visse a lungo influenzò il poeta di Marradi non soltanto nel colophon ma anche nel finale di Pampa dove si possono cogliere diversi riferimenti a Whitman; il bivacco notturno che ricorre nella sezione Drum Taps contamina Campana così:
“Mi ero alzato.
Sotto le stelle impassibili, sulla terra infinitamente deserta e misteriosa, dalla sua tenda l’uomo libero tendeva le braccia al cielo infinito non deturpato dall’ombra di Nessun Dio.”


Campana stesso afferma di voler creare una poesia italiana di stampo europeo. E’stato, ampiamente documentato dalla critica che nella poesia orfica di Dino Campana confluiscono varie esperienze culturali e letterarie, tra cui la tradizione misterico-religiosa, la poesia europea appartenente al filone orfico, e poi Nietzsche e Schurè. Non c’è dubbio che egli fosse sempre disposto a raccogliere ciò che di valido la tradizione occidentale poteva offrire. La ricerca e la scoperta di una nuova dimensione poetica non comportava affatto il rifiuto indiscriminato della tradizione, come alcuni hanno voluto credere, fedeli al mito di un Campana ribelle ed avanguardista a tutti i costi, ma si basava, e lo stesso poeta lo dichiara apertamente in una lettera del ’15 a Papini, sull’innesto della “più viva sensibilità moderna nella linea della più pura tradizione italiana”. La più pura tradizione italiana per lui significava soprattutto Dante e Leopardi, come suggerisce in un’altra lettera ad Emilio Cecchi: soprattutto Dante su cui la poesia moderna doveva innestarsi Infatti i riferimenti espliciti a Dante sono numerosi nell’opera di Campana. L’immagine di Francesca è un leit motif che ricorre più volte nella Notte e nella Verna, mentre non mancano i versi danteschi citati per intero. Il dantismo di fondo dei Canti orfici si trova ad esempio nelle similarità tra la salita alla Verna e l’ascesa purgatoriale di Dante: Ed è poi evidente il nesso tra la “poesia di movimento” di Dante, come la chiama Campana, ed il motivo del viaggio nei Canti Orfici.
La presenza di Dante nei Canti orfici è da considerarsi di importanza fondamentale alla comprensione della struttura e del sottofondo mitico-religioso del libro
Come sempre la poesia di Dante risulta dalla lotta tra il nordico e il latino Ed è ancora Dante lo scrittore che personifica l’arte crepuscolare per eccellenza:
L’arte crepuscolare (era già l’ora che volge il desio) in cui tutto si affaccia e si confonde, e questo stadio prolungato nel giorno aiutato dal vin de la paresse che cola dai cicli meridionali e nella gran luce tutto è evanescente e tutto naufraga, sì che noi nel più semplice suono, nella più semplice armonia possiamo udire le risonanze del tutto. II riferimento a Dante è ripetuto in un altro brano dei Taccuini sull’arte crepuscolare: … in queste sere in cui è profondamente dolce la voce dell’organetto, la canzone di nostalgia del marinaio, dopo che il giorno del sud ci ha riempito du vin de la paresse. Il marinaio è, naturalmente, quello dell’ottavo canto del Purgatorio (“era già l’ora che volge il disio”), mentre l’organetto è senz’altro un riferimento alla “dolce armonia da organo” (Par. XVII, 43).


La Vita Nuova specialmente,
Nel senso che i Canti orfici, come la Vita Nuova, sono un diario spirituale, un libro della memoria letto in retrospettiva alla ricerca di un significato simbolico, una disciplina e una iniziazione alla vera via della salvezza, l’analogia tra i due libri e apparente. Nei Canti orfici è evidente lo sforzo di reinterpretare e riordinare esperienze ed episodi sconnessi attraverso la memoria, che diventa così, come in Dante, rivelazione e strumento di rigenerazione spirituale. Ma se Beatrice conduce Dante al Paradiso ed alla Trinità nella Divina Commedia, in Campana Euridice s’identifica con la Chimera, l’Amore ambiguo, che conduce il poeta sia in alto sia in basso. La differenza essenziale tra il viaggio di Dante e quello di Campana è che il primo si muove dalle tenebre verso una luminosità sempre maggiore, mentre Campana si muove attraverso le tenebre, penetrate di quando in quando da bagliori che però non riescono ad abolirle. Mentre la poesia di Dante segue un movimento verticale. quella di Campana segue un movimento ciclico.
Persino l’alternanza di prosa e versi negli Orfici potrebbe far pensare alla Vita Nuova per quando diversi i risultati. Dante nella prosa controlla, unisce e commenta i componimenti in versi, con chiarezza critica ed intellettuale. In Campana la prosa non è separabile dalla poesia, e non ha quindi la spiccata funzione strutturale della prosa della Vita Nuova. Ma se i Canti orfici si considerano nel loro insieme, si nota che i componimenti in versi spesso forniscono un’intensificazione e risonanza del materiale presentato in modo piu’ esteso nella prosa. Questo è vero per i Notturni rispetto alla prosa della Notte e per “Immagini del viaggio e della montagna” e “Viaggio a Montevideo” rispetto alla prosa della Verna.
I parallelismi strutturali e tematici tra l’entrata di Dante nella città di Dite e l’entrata di Campana in Faenza sono notevoli. La torre, sia in Campana sia in Dante, è il punto focale del loro graduale avvicinarsi alla città.
Ecco l’inizio della Notte:
Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita, arsa su la pianura sterminata nell’Agosto
torrido…
E Dante: (Inf. VIII, 67- 74)
II Canto V dell’Inferno aveva per Campana un fascino particolare. Un altro riferimento diretto lo troviamo negli Inediti:
E’ il carillon d’una torre gotica. Dante nel V canto ebbe
questa fantasia cavalleresca che trionfa dell’inferno latino. (“E’ il carillon”).
E nella descrizione della pianura di Romagna, in cui si sente l’eco del Canto XIV del Purgatorio. dove Dante ricorda con nostalgia l’antica Romagna e “le donne e i cavalier, li affanni e li agi, /
che ne ‘nvogliava amore e cortesia, riappare la figura di Francesca:
Occhi crepuscolari in paesaggio di torri là sognati sulle rive della guerreggiata pianura…
Ritorno
Presso Campigno 26 settembre
Laggiù nel crepuscolo la pianura di Romagna….dove si perde il grido di Francesca…, guerriera, amante, mistica, benigna di nobiltà umana, antica Romagna
Torna la visione disgregante di Campana sottolineata da Luigi Bonaffini che consente di affermare che i Canti Orfici sono un canto di un Myself del poeta che cerca e perde la propria Euridice e finisce, come Orfeo, lacerato e diviso.