Renato Ridolfi (1919- 2018) nel 103° genetliaco della nascita

venerdì 6 maggio
Renato Ridolfi scriveva il 19 maggio del 1978 su un periodico della Romagna Toscana questo semplice ma suggestivo articolo dal titolo “Ho incontrato un uomo”. E con la riproposizione del suo scritto vogliamo doverosamente ricordarlo nel 103° anniversario della nascita come una “bella penna” giornalista e scrittore, ma anche “penna nera” ufficiale degli alpini, insegnante, animatore delle più importanti attività teatrali marradesi fin dagli anni ’30.

Autore di numerosissime pubblicazioni di storia locale e di monografie sui grandi marradesi. Era nato il 7 maggio 2019, scriveva e studiava il dialetto locale senza dimenticare di essere anche un ottimo latinista. E’ stato maestro di molte generazioni di marradesi illustri e fra questi i Sindaci Enrico Consolini, Paolo Bassetti e del Cardinal Gualtiero Bassetti.


Autore e regista di numerose riviste ed operette fra le quali: Il Canzoniere, 1957, e Suona la naja, 1987. Interprete, in gioventù, de “La resa di Titi” e “L’Antenato”. Ha scritto i libri: “Cose di Casa nostra, 1977”; “Campigno” Escursione storico leggendaria, 1985; La Battaglia delle Scalelle, 1987; “Bel Ami” e “Gigino Il giornalista ed il filosofo amici marradesi di Dino Campana”, febbraio 2001; “La cantata de Le Scalelle”, novembre 2002; con la nipote Raffaella; “Camminando per Marradi tra cento ricordi e mille nostalgie”, settembre 2003; “Nondum matura est-ricordando le favole di Fedro in dialetto marradese”, novembre 2005; “Nelle sere invernali, progetto “scaccia noia” tra aneddoti e curiosita”, ottobre 2006; Quaderne -Il mio Zibaldone 2015. Signori il Canzoniere…! (pubblicato postumo nel 2019 un anno dopo la sua morte). Corrispondente del giornale “II Telegrafo” nel 1938, della “Nazione” dal 1952 al 1954 e poi de “La Giustizia”. Cultore del dialetto, ha contribuito, in questo ambito, con Oriana Fallaci, a New York alla stesura del libro “Insciallah”.
Viveva a Marradi paese cui ha dedicato tanta passione anche come assessore alla Cultura e Pubblica Istruzione dal 1960 al 1965 e come consigliere di amministrazione dell’Ospedale San Francesco. Fra i fondatori dell’U.G.M (Unione Giovanile Marradese), del Club Sportivo Culturale, della Pro Loco e della Sagra delle Castagne, ha coltivato sempre grande amore per la letteratura greca e latina e per i grandi marradesi del passato.
Ho incontrato un uomo
Venendo dalla ceramicante Faenza per la statale 302, s’incontra, a ridosso dell’Appennino tosco-romagnolo, la Prioria di Popolano, un casale dai natali remoti, a cavallo del fiume Lamone,
all’ombra della sua calda torre campanaria, ultimo avanzo di un famoso castello murato.
Qui, presso la Dogana, mi sono imbattuto in un uomo, portamento modesto, faccia buona, abito da lavoratore, vecchia bicicletta a mano, sua pendolare amica di lavoro. Un tredoziese emigrato da noi, ch’io avevo già notato musicante della banda paesana e intento a piallare sul bancone di un falegname mio conoscente. Un saluto, una battuta banale, un luogo comune. Siamo sul ponte; lo sguardo fisso nell’acqua gorgogliante verso l’Adriatico. Il discorso cade sull’intarsio e sull’intaglio.
Il nostro schivo interlocutore è insigne maestro. «Ma la coltivo a tempo perso questa passione! È un riposo, ecco, uno svago!» Le sgorbie e i ferri taglienti si muovono decisi sul legno stagionato, che tra scaglie e trucioletti sprigiona rose delicate, boccioli freschi e foglioline leggere, come rinverdito da una miracolosa primavera. Arte delicata, abilità suggestiva! Il mazzo di rose, subconsciamente profumato, è stupendo, e, insieme ad altri cento e più visitatori lo abbiamo apprezzato ed applaudito nella mostra artigianale aperta in occasione della «1a Giornata del Marradese Lontano». Espressione soave di arte genuina scaturita da un essere oscuro, restio, senza boria, originalmente posseduto dalla sublime passione per il bello; umilmente deciso a mantenere dolce, pulita, umana la vita societaria costellata, purtroppo, di storture, traumi fastidiosi e nocivi; fermamente proteso all’esaltazione dell’arte, alla celebrazione dell’artigianato che ci parlano dell’uomo che non è sempre e per forza malvagio, egoista, usurpatore. Arte e artigianato che addolciscono con tenui colori di
soffusa bellezza le fosche stanze della tragica vita quotidiana; ci distraggono dalla sofferenza di giorni grigi; ci ripropongono il rispetto di noi, della natura madre e non matrigna. Attività che sublimano ideali persi di vista tra la nebbia fitta e inquinata di un progredire egoisticamente propugnato e indirizzato al privilegismo. Momenti che riaffermano il valore dell’uomo soggetto e non oggetto della realtà contingente, artefice delle proprie fortune e non distruttore del cosmo, intelligente manipolatore di arnesi e pacifici attrezzi, non creatore di delitti e di caos. Quell’artista, Luigi Nannini, così si chiama, figura un po’ ricurva sulle spalle, mi fa apparire più fulgido il messaggio che esce anche da una grandinata di trucioli bianchi, giallastri come pezzetti di sole che vanno a scoprire l’opera d’arte. Di opera d’arte si tratta di legno scolpito che è roba rugiadosa. Cristo sofferente e sanguinante, cornice fastosa da serrare un caro ricordo; un cantuccio di armonia bellezza che fa più lieta la casa e dà all’anima segni spaziosi di gioia soave. È un artista, ma non vuole esserlo, non gli importa di esserlo. Questo fa più bella l’opera sua. Sfugge alle domande precise. È un appassionato e nient’altro.
Ha un dono che gli è venuto così… per fatalità! Scolpisce, perché un desiderio forte forte lo spinge. – Ma artista… no no! Che vale? Si nota, però una certa commozione quando parla delle sue creature. Son tutte belle; ognuna rappresenta un momento… Le fissa e tace. Parole e pensieri son scivolati veloci sulle onde gorgoglianti sotto il ponte. Sull’acqua chiacchierina ora s’accendono mille briciole di luce ch’han lasciato la grande lampada della cantonata. Il fiume le porta coi pezzetti di luna che raccoglie al mare romagnolo. Grazie e mi scusi se sono stato importuno e impertinente.
Posso offrirle…? Non possiamo lasciarci così, asciutti asciutti. Traversiamo la strada. Da Carlo un bicchiere di Sangiovese, rosso come la passione dell’artista, sigla il commiato. Arrivederci e mi scusi. Ma tornerò perché la sua arte, il suo modo di concepirla mi piace. Forse anch’io, se avessi potuto lavorare il legno e trarne quel che tanto ho sognato, sarei stato schivo come Lei. Anch’io sono un timido. Mi scusi! Buona notte! In fondo al bicchiere svanisce il sogno di questo incontro e ritrovo la strada erta e faticosa, ma il cuore corre leggero e vola gonfio di soddisfazione: ho trovato un vero uomo.

Renato Ridolfi