Massimo Scalini: “La geniale follia creativa di un poeta bipolare, orfico ed intellettuale”.

scalini 2martedì 30 settembre

Nel Corso della giornata di premiazione alle Giubbe Rosse il prof. Massimo Scalini ha pronunciato la lectio magistralis che ci piace riportare nella sintesi scritta:

 

 

 

“La geniale follia creativa di un poeta bipolare, orfico ed intellettuale”.

La scomparsa – o l’occultamento – de Il più lungo giorno per mano di Argento Soffici ci ha regalato, ormai un secolo fa,  il canto orfico di un matto da manicomio che oggi, grazie ai progressi della psichiatria, verrebbe diagnosticato e curato come  malato di Psicosi Maniaco Depressiva – o più modernamente di Disturbo Bipolare -, e lo stesso sarebbe accaduto per tanti grandi del passato, da Schumann a Van Gogh per non citarne che alcuni. In meno di un secolo, infatti, le neuroscienze hanno fatto passi da gigante, e questo al di là dei pregiudizi degli avventori della diffidenza ideologica di sinistra che, anche in anni recenti, hanno vessato la psichiatria, ridotta ad una pratica  acchiappa matti, prevaricatrice e soprusiva, atta al mantenimento dell’ordine pubblico. Il progresso delle neuroscienze ha Invece permesso di curare e ridonare alla dignità umana malati quali Campana, oggi non più percepiti, come fu per lui, alla stregua di  matti affetti da un indementimento giovanile – la dementia praecox -, irreversibile ed ingravescente, ma vissuti alla maniera di comuni pazienti afflitti da una psicopatia molto grave e nondimeno curabile. Col suo carico perverso di ineluttabilità, invece, la diagnosi di dementia praecox ha contribuito a fare di Campana il poeta matto per eccellenza, ed ha aperto la via ad oziose discussioni pseudo-intellettuali circa il rapporto fra genio e follia, come se queste due istanze fossero contropolari ed inconciliabili. Nella realtà accade invece il contrario: la follia maniacale si fa talvolta trasgressione creativa, espressione artistica, vivacità intellettuale.

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In Campana non vi è infatti solo la creatività artistica del poeta orfico, ma anche l’intuizione metacognitiva dell’intellettuale maturo, un’intuizione che a mio avviso andrebbe studiata, approfondita e sviluppata. Mentre infatti n Italia si mettevano a punto le basi pseudo-scientifiche che avrebbero più tardi condotto Carletti ai primi esperimenti sul cane dell’elettroshok, Campana proponeva ai tipi di Lacerba, Soffici e Papini, un suo scritto riassuntivo della cosiddetta psicoanalisi sessuale di Segantini, il pittore divisionista la cui opera trovò nella riflessione psicodinamica di Freud ed Abraham un indubbio contributo alla conoscenza delle dinamiche inconsce. In quell’epoca – era il 1914 -, epoca che peraltro percorse di oltre dieci anni la costituzione della Società Italiana di Psicoanalisi, ed ancor di più la prima opera nostrana ad impronta psicoanalitica, vale a dire la Coscienza di Zeno, Il demente precoce Dino Campana dimostra di conoscere ciò che era oscuro al mondo intellettuale italiano, anche  ai cosiddetti futuristi, e si propone quale divulgatore della conoscenza attraverso la traduzione dal tedesco delle più moderne concezioni filosofiche sull’uomo, concezioni relative a quel cambiamento concettuale allora in atto che ha portato la vita inconscia al centro del determinismo umano grazie alla  psicoanalisi.  Nonostante il pensiero epistemologico di Karl Popper, che attraverso la discriminante della falsificabilità degli assunti ha qualche decennio più tardi relegato la psicoanalisi al mondo del dogma, la riflessione psicoanalitica ha indubbiamente portato nel positivismo scientista del novecento la voce orfica del canto campaniano al centro della vita psichica dell’uomo moderno, oggi più che mai riconoscibile nell’Urlo di Munch, un quadro altrettanto orfico perché la voce di quel grido non c’è, ma si sente. Ed il canto di Campana, così come il grido afono di Munch, con la lievità di una brezza leggera e drammatica riesce ad entrare in risonanza intima con l’inconscio di ognuno di noi, indipendentemente dal livello culturale, e lo solletica, perché quel canto e quel grido trascendono l’uomo, e lo determinano dalle profondità del mondo dell’Es.  Questa trascendenza campaniana  va oltre il dogmatismo popperiano, e forse più in là dell’arte stessa, ed assurge ad una metafisica laica intrisa dei moti dell’inconscio che merita, a mio avviso, un approfondimento dell’opera ortica anche attraverso il contributo della psicodinamica analitica.

Massimo Scalini