Paolo Pianigiani: Sulle piste di Regolo l’amico di Dino Campana.

Foglio di Famiglia degli Orlandelli
lunedì 26 luglio
Ci scrive Paolo Pianigiani:
come preannunciato tempo fa al dott. Rodolfi, ho finalmente trovato documenti che riguardano Regolo, l’amico di Dino Campana.

Ringrazio la dott.ssa Annamaria Mortari, Funzionario dell’Archivio Storico del comune di Mantova,

e le gentili Operatrici dell’Ufficio, per la preziosa collaborazione

Così Dino parla di Regolo al Pariani:

“Regolo è uno che andò in Argentina. Si chiamava Regolo Orlandelli, era di Mantova. Lo incontrai in Argentina, a Bahia Blanca. Prima lo avevo conosciuto presso Milano. Viaggiava il mondo. In America aveva un’agenzia di collocamento: a Milano faceva il commercio ambulante. A Genova lo incontrai per caso, dopo essere stato in Argentina. Credo sia morto; deve essere morto certamente”.

Regolo è, insieme al “Russo”, che è ancora più misterioso di lui, l’unico personaggio maschile degli Orfici ad avere una qualche connotazione identificativa. Se si eccettua quel l’antico compagno di scuola, scoperto da Stefano Drei fra le foto antiche del Liceo Torricelli: il professore “purulento”, Oddone Assirelli, che appare e scompare come un fantasma ne “La giornata di un nevrastenico”.
Campana sia direttamente, ad esempio quando parlava di sé con Pariani, sia indirettamente, per gli accenni contenuti nei Canti Orfici, è una fonte degna di fede per chi vada raccogliendo notizie sulla sua vita. E questa affermazione trova una conferma anche nel fatto che una figura come quella di Regolo Orlandelli, come ho potuto constatare di persona, è esistita veramente. La ricerca che in base alle indicazioni fornite dal poeta a Pariani mi accingevo a compiere a Mantova è stata facilitata dal prof. Salvatore Gelsi, che qui ringrazio, il quale già da qualche tempo si stava occupando di alcuni personaggi pittoreschi della propria città.
Regolo, di due anni più giovane del poeta (era nato nel 1887 e all’epoca dell’episodio narrato nei “Canti Orfici” aveva all’incirca ventisei anni), stando a quanto annotato sul suo foglio matricolare ritrovato a Mantova dal prof. Gelsi, fu riformato una prima volta nel 1907 per «grave debolezza di costituzione» (Campana ne “L’incontro di Regolo” aveva scritto: «Impestato a più riprese, sifilitico alla fine, bevitore […]»), e una seconda volta nel 1918 «per astigmatismo miopico e strabismo convergente» (Campana: «Quella faccia, l’occhio strabico! […] era restato per un quarto d’ora paralizzato dalla parte destra, l’occhio strabico fisso sul fenomeno»). Più importanti ancora risultano comunque alcuni dati che aggiungono qualche nuovo elemento probante riguardo al viaggio ancora avvolto nel mistero che Campana avrebbe compiuto in Argentina. Un avvenimento che Ungaretti si intestardì a negare risolutamente, convinto com’era che non fosse mai avvenuto, e che Gabriel Cacho Millet con una convincente argomentazione, per quanto priva ancora di prove determinanti, colloca fra il 9 settembre 1907 e il 18 marzo 1909. Dalle carte dell’Archivio Storico del Comune di Mantova apprendiamo infatti che Regolo nel 1906 era andato ad abitare a Milano per lavoro, e che in seguito emigrò varie volte in Argentina: una prima sul finire di quello stesso 1906, per starvi fino al 1909; quindi fra il 1913 (o 1914, non è ben chiaro) e il 1918 (intanto in Italia nel ’16 l’esercito lo dichiara «renitente» per ben due volte), e definitivamente nel 1919 (per quest’ultimo espatrio possediamo due indirizzi di Buenos Aires). Si legge dunque ne L’incontro di Regolo: «Era tornato d’America [evidentemente si riferisce al primo viaggio del 1906-09]. […] Ricordavamo l’incontro di quattro anni fa laggiù in America: e il primo, per la strada di Pavia». Più tardi, in manicomio, Campana con Pariani sarebbe stato ancor più preciso: «Regolo è uno che andò in Argentina. Si chiamava Regolo Orlandelli, era di Mantova. Lo incontrai in Argentina a Bahìa Bianca. Prima l’avevo conosciuto presso Milano. In America aveva un’agenzia di collocamento: a Milano faceva il commercio ambulante. A Genova lo incontrai per caso dopo essere stato in Argentina. Credo sia morto; deve essere morto certamente». Ma su questo punto si sbagliava, perché Regolo morì non prima del 1933, più tardi dunque del poeta, anno in cui bruscamente s’interrompono le notizie che si hanno su di lui.

E le tracce di Regolo si perdono, almeno per ora, fra le vie di Buenos Aires in Argentina, in una delle quali si è trovata la sua ultima residenza conosciuta.

Nei Canti Orfici Dino e Regolo si separano, salutandosi sulla spiaggia di Genova. Regolo voleva partire, aveva la smania di partire…

Dino quella volta rimase. Doveva scrivere il suo Libro.

Ma vediamo cosa mi scrisse, anni sono, il gentilissimo Direttore dell’Ufficio Protocollo del comune di Arezzo, al quale mi ero rivolto, seguendo un’indicazione di Gabriel Cacho Millet:

Prot. n. 38795/A.08/1/2006

Faccio seguito alla Sua e-mail del 27 febbraio 2006 per comunicare che da ricerche effettuate nella nostra documentazione anagrafica risulta che Regolo Orlandelli era nato ad Arezzo l”8 dicembre 1887, da Evangelista e Silvia Broffoni. Il padre, un “regio impiegato” nativo di Bozzolo, giunge ad Arezzo da Mantova con la famiglia nello stesso 1887 ed emigra ad Orvieto nel 1898.

Regolo ha almeno tre fratelli: Lucio (1882), Maria Luigia (1886), Cornelia (1890).

Cordiali saluti.

Luca Berti
Direttore dell’Ufficio Protocollo
e Servizi Archivistici del Comune di Arezzo

Regolo quindi era più giovane di due anni rispetto a Dino; era nato ad Arezzo, da famiglia mantovana (Bozzolo è un paesino in provincia di quella città), trasferita ad Arezzo per motivi di lavoro.

Mancava solo da verificare le carte a Mantova e trovar notizie della famiglia Orlandelli.

Dai documenti qui ritrovati risulta che:

Orlandelli Regolo, figlio di Evangelista e della Broffoni Silvia, nasce ad Arezzo l’8/12/1887. Ha quattro fratelli:

Lucio Gaetano nato a Mantova il 24/09/1882

Socrate, nato a Bozzolo il 16/11/1883 e deceduto in Bozzolo il 26/2/1884

Maria Lucia, nata a Mantova il 21/08/1886

Cornelia, nata ad Arezzo il 27/04/1890.

Arriva a Mantova da Orvieto il 20/12/1900 (registro immigrazione n. 54 del 1901).

Emigra a Milano l’ 01/10/1906, rientra a Mantova nel 1907 ed emigra definitivamente, con tutta la famiglia, a Milano il 30/03/1909 (tre maschi e tre femmine, come da registro emigrazione n. 96 del 1909).

Castelnaudary intitola una rotonda al comune della Romagna-Toscana: tra Tolosa e Carcassonne spunta “Marradi”

rotonda-marradi
mercoledì 20 luglio
Tante piastrelle di ceramica che riproducono in dimensioni giganti lo stemma del Comune di Marradi.
E’ il bell’omaggio di Castelnaudary per il rinnovo del patto di gemellaggio col Comune marradese.
A Marradi è stata infatti intitolata la grande rotonda d’ingresso alla cittadina francese, sulla strada principale che collega Tolosa a Carcassonne. L’inaugurazione si è tenuta lo scorso 14 luglio, in occasione della festa nazionale francese, ricorrenza della presa della Bastiglia, con la partecipazione della delegazione marradese, composta dal sindaco Paolo Bassetti e dagli assessori Silva Gurioli e Giovanna Bandini, dal presidente del comitato gemellaggio Veronica Contri e dal presidente del Centro studi sul Castagno Elvio Bellini, oltre che da rappresentanti di associazioni e famiglie.
Paese imbandierato a festa, col tricolore italiano e quello francese, e fitto programma di incontri, iniziative e visite (una anche al comando della Legione Straniera) per i rappresentanti di Marradi. “E’ da 20 anni che a Castelnaudary ci lega un ‘patto d’amicizia e gemellaggio’ – sottolinea il sindaco Paolo Bassetti – ed è un rapporto che di anno in anno si è consolidato con reciproche visite in occasioni di feste e manifestazioni e rapporti interistituzionali. A ottobre, in occasione della ‘sagra delle Castagne’ abbiamo rinnovato la firma del patto con la partecipazione di una loro delegazione e pochi giorni fa siamo stati noi a partecipare alla cerimonia”.

Attorno alla grandissima “targa” in ceramica, opera di un artista locale, sventolano le bandiere con gli stemmi di Castelnaudary, della Regione Toscana e della Regione della Languedoc insieme a quelle italiana, francese e dell’Unione Europea.

“Il rapporto con la cittadina francese è saldo e duraturo – afferma il sindaco Bassetti -, e vogliamo che continui a essere così per favorire e sviluppare collaborazioni, scambi, incontri fra istituzioni e cittadini, tra comunità che voglion far crescere reciprocamente il comune senso d’appartenenza europeo”.

ufficio stampa

johnny tagliaferri

E’ Graticola d’Oro nel segno del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia.

L'ambito Trofeo
lunedì 18 luglio
Prende il via, domenica 24 luglio, in piazza Scalelle nel giorno in cui ricorre l’ anniversario della Battaglia delle Scalelle, la Graticola d’Oro con la sfilata dei carri “W l’Italia” che rendono onore al 150° dell’Unità d’Italia nella terra di quello straordinario Servitore dello Stato che fu Celestino Bianchi.
Il 27 luglio si terranno le gare di atletica al campo sportivo di Biforco;
il 29 luglio al Parco Piscina canto e ballo;
il 31 luglio Scarpinata a Campigno;
il 3 agosto i Giochi in acqua alla Piscina Comunale ;
il 5 agosto nel Parco piscina i balli di gruppo ;
l’8 agosto a S. Adriano il calcio bambini.
La manifestazione si concluderà il 10 agosto, San Lorenzo patrono di Marradi.
Dal 1970 ad oggi si sono disputate 35 edizioni della Graticola d’oro, la disfida estiva fra i rioni non si è infatti disputata negli anni 1992-1995-1996-1997-1998-1999-2000.
Il ritorno della sfilata dei carri nel 2010 ha riportato anche il pubblico in numero ragguardevole ad assistere agli eventi.
Nelle trentacinque edizioni la Graticola d’oro è finita 12 volte in mano ai caporioni de “La Piaza” ( centro storico) ( tre volte Mario Betti, una volta la coppia A.Farolfi-N.Montevecchi, quattro volte Alessandro Mercatali, quattro volte Marco Catani). 10 volte la Graticola è finita nelle mani dei caporioni di J’um Marè (antica Marciana) ( due volte Rodolfo Ridolfi, tre volte Giambattista Zambelli, due volte Massimo Bellini, una volta Gian Martino Mercatali come pure Fabrizio Frassineti e Maurizio Brunetti). Vilanzeda (Villa Ersilia, Ponte e Annunziata) si è aggiudicata 7 volte l’ambito trofeo ( due volte Roberto Chiari, due volte Patrizia Medori, due volte Sara Samorì ed una volta Gabriella Gamberi) . Il rione B’forc (Castiglionchio) 3 volte (una volta con Mauro Rossi, una volta con Luciano Neri ed una volta con Enrico Barzagli). Povlò oggi accorpato con S. Driò una sola graticola con Aldo Benerecetti come pure S.Driò (antica Scola) con Giovan Piero Ceroni. L’edizione 2011 ripropone il rione di J’um Marè come il rione da battere dopo la vittoria netta della scorsa edizione, ma la Graticola, si sa, non e mai scontata anche se il motivatissimo caporione di J’um Marè Iccio ha fatto capire, imbandierando per primo tutto il Rione che farà di tutto per concedere il bis.

Una medaglia per il Gonfalone. Nel libro di Rodolfo Ridolfi il 17 18 Luglio 1944: La strage di Crespino Fantino Lozzole e Campergozzole.

Domenico Vanni
venerdì 15 luglio
Riportiamo dal Libro “Domenico Vanni sovversivo per la libertà” due parti che contengono, la prima le motivazioni con le quali l’Amministrazione Ridolfi ottenne la medaglia d’oro per il Comune di Marradi e la seconda che ricostruisce l’Eccidio di Crespino- Fantino.
Antonio Cassigoli, nel libro “Marradi nella Resistenza testimonianze e sacrifici” del luglio 1984, scriveva nella premessa: “Marradi, risorta nel segno della libertà e delle riconquistate istituzioni democratiche merita che la Nazione riconosca, anche ufficialmente e tangibilmente, questo suo sanguinoso, immane e doloroso contributo alla rinascita della Patria nel segno del sacrificio” e continuava nel capitolo Una medaglia per il gonfalone. “Tutti i sindaci che si sono avvicendati alla guida del Comune di Marradi dalla liberazione in poi-Pierino Zacchini, Mario Bellini, Antonio Cassigoli e poi ancora Mario Bellini, Goffredo Nannini, Giuseppe Tarabusi, Arturo Zambelli, Enrico Consolini, Lorenzo Liverani ed ancora Enrico Consolini- si sono premurati, chi più chi con minore insistenza, di richiedere un riconoscimento al Comune, in quanto tale, per le lotte, le sofferenze, le distruzioni, le morti, le deportazioni che funestarono il territorio marradese durante l’infausto e glorioso 1944. Ricordiamo, per tutte, la richiesta avanzata, il 4 dicembre 1970 dal sindaco On. Goffredo Nannini che la rinnovava nel 1972”. Nel 1984 ricorreva il quarantesimo anniversario dell’eccidio di Crespino, ma il riconoscimento non ci fu nonostante le speranze. Quando fui eletto sindaco nell’autunno del ‘88, dopo avere ottenuto un intervento finanziario del Ministero della Difesa a favore del Sacrario di Crespino, riproposi il dossier ed ottenni, il 3 Luglio del ‘91, con decreto del Presidente della Repubblica, la Medaglia d’oro al merito civile per il Comune di Marradi con la seguente motivazione: “Piccolo centro attraversato dalla linea gotica, sopportava con fierissimo e dignitoso contegno spaventosi bombardamenti aerei e terrestri, subendo la distruzione della maggior parte del centro abitato e offrendo alla causa della Patria e della libertà il sacrificio eroico di quarantadue civili inermi, trucidati dalle truppe d’occupazione naziste”. Di quei giorni ricordo che, parlando a Crespino alla presenza di Valdo Spini, Sottosegretario agli interni del governo Andreotti, dissi:“I sacrifici di tutto il popolo marradese durante il terribile conflitto hanno raggiunto limiti inimmaginabili. La ritrovata libertà, il senso di responsabilità e la ripresa positiva del pacifico, quotidiano travaglio sono state premiate con alto riconoscimento di virtù civica”. Quella medaglia, dunque, che oggi ci onora, fu meritata da tutti gli eroi discreti, quasi anonimi, di quella stagione, dalle vittime dei bombardamenti, dalle donne e dagli uomini morti in seguito ai cannoneggiamenti, dagli undici giovani fucilati nel cimitero di Marradi dai deportati nei campi di sterminio, cinque a Mauthausen: Claudio Bandini, Alberto Ciani, Domenico Vanni, Giampiero Verdi, Armando Visani ed uno a Flossemburg poi ad Hersbruck, Alessandro Pieri, dai deportati ai lavori coatti, dai martiri dell’eccidio di Crespino e da coloro che senza colpa alcuna furono innocenti vittime dell’odio e della violenza.
Nel libro Testimonianze, ricordi dei comuni toscani del 1994 pubblicato dalla Regione Toscana si legge: Per le vicende della guerra Marradi, unico Comune della Provincia di Firenze, ha ottenuto nel luglio 1991 la medaglia d’oro al merito civile”.
Il 17 luglio ‘44 a Monte Lavane gli alleati effettuarono un lancio di armi, munizioni e vestiario destinati ai partigiani, che, attaccati da ingenti forze nazifasciste, ingaggiarono un duro combattimento di otto ore cui partecipò insieme alla banda Corbella, come lui la chiamava, l’ufficiale Usa Chester Kingsman salvato a Pian delle Fagge. Quello stesso giorno ed il giorno successivo, a Crespino, antico Borgo di incontaminato verde, di acque limpide e di quiete, sorto intorno all’antica abbazia vallombrosana di Santa Maria a Crespino sul Lamone, si consumò una assurda tragedia. I nazisti si macchiarono dell’orrendo crimine di strage che non risparmiò neppure Don Fortunato Trioschi, arrestato insieme ai suoi parrocchiani e costretto a scavarsi la fossa prima di essere trucidato. I fatti sono da inquadrare nella recrudescenza nazista che in seguito alla caduta di Mussolini e all’otto settembre ‘43 avevano fatto scattare “l’operazione Alarico” l’invasione e l’occupazione militare dell’Italia. Insieme a Don Trioschi, il 17 luglio, furono uccisi sul greto del Lamone, dove oggi sorge il sacrario: Luigi e Vittorio Bellini, Giuseppe e Lorenzo Ferrini, Giovanni Malavolti, Giuseppe e Guglielmo Nati, Angelo, Attilio Lorenzo fu Luigi,e Lorenzo fu Pietro Pieri, Giuseppe Barlotti, Dante Chiarini, Pietro Tagliaferri, Ottavio Scarpelli, Luigi Vinci, Gherardo Visani, Adolfo Rosselli, Sante Bosi, Giulio Sartoni, Bruno Santoni e due corpi non identificati. Abramo Tronconi fu fucilato a Fantino. Alfredo Beltrami, sua moglie Cecilia, e la figlia Lorena, furono fucilati il 17 luglio nel podere Il Prato con Alfredo Righini fucilato nell’aia. I Beltrami erano, padre,madre e sorella di Umberto il partigiano di cui Pietro Monti, detto Marconi, definito da Arturo Frontali, come il testimone che tutto ricorda della strage di Crespino racconta: “Ha preso una bomba a mano e gliel’ha tirata (alla Croce Rossa) ed ha ucciso il tedesco.ed insomma tutti e due, l’autista ed il ferito”. Il diciotto luglio nel podere I Mengacci, di proprietà di Giovanni Buccivini Capecchi, i mezzadri, Francesco Botti, suo figlio Bruno diciassettenne, il quindicenne Pierino Caroli e suo padre Vincenzo, che era iscritto al partito fascista e che mostrò invano ai tedeschi la tessera, furono trucidati nonostante il disperato tentativo della coraggiosa mamma Palmira Gentilini Botti che con le lettere dei figli militari in mano, cercava di far capire ai tedeschi che i suoi famigliari non c’entravano con i partigiani. Giuseppe Caroli e Adele Donatini furono fucilati al Cerreto di Fantino il 18 luglio come Dionisio Rossi. Carlo Quadalti contadino della Casa Nuova fu fucilato quello stesso giorno nel podere La Castellina dove si trovava per la mietitura a dare una mano ad Arturo Raspanti. La Wehrmacht aveva stabilito il proprio comando a Crespino, nella villa di Carlo Mazza, proprietario terriero della zona. I partigiani che operavano nell’area, ed ai quali erano associati i giovani renitenti alla leva repubblichina sbandati, erano quelli della 36^ Brigata Garibaldi Alessandro Bianconcini. Valeria Trupiano nel suo pregevole lavoro A sentirle sembran storielle Luglio 1944 La memoria della strage di civili nell’area di Crespino del Lamone del 2008 riporta quanto contenuto nel bollettino partigiano della Bianconcini datato Imola 21 ottobre 1945. Ventotto pagine consegnate alla Trupiano dall’ex partigiano Bruno. Il bollettino, con la relazione ufficiale, contiene il diario delle azioni e dei sabotaggi giornalieri operati dalla brigata, gli spostamenti le imboscate, le catture ed uccisioni di nazisti e spie fasciste, gli attacchi e le uccisioni di partigiani e di civili da parte dei tedeschi. A proposito della giornata del 17 luglio tra le varie azioni partigiane realizzate nel territorio viene descritta la seguente “ Elementi misti delle compagnie di Paolo e di Marco attaccano il traffico sulla strada Faentina. Un automezzo tedesco distrutto, 2 soldati uccisi e sei feriti. Da parte nostra un ferito. A seguito di tale azione i tedeschi per rappresaglia massacrarono 35 coloni raccolti nei dintorni. La versione partigiana ha molto in comune con quella raccontata dagli abitanti di Crespino. Nel libro di Don Bruno Malavolti Estate di Fuoco, nella parte di Arturo Frontali che ricostruisce i fatti attraverso le testimonianze, si fa capire che alcuni giovani partigiani, conosciuti da tutti e soldati sbandati, dopo l’otto settembre, continuavano ad appoggiarsi al paese e al podere dei Mengacci. Verso la fine di aprile, alcuni di questi partigiani uccisero due tedeschi in località Casaglia. Sembra che una delle vittime fosse il comandante di un gruppo appartenente alla Marina tedesca, che era acquartierato a Villa Ersilia a Marradi. L’episodio, tuttavia, rimase impunito per l’intercessione di una nobildonna tedesca sfollata a Ronta che ebbe il merito di convincere gli occupanti a stipulare con il paese una sorta di patto di tregua. L’accordo venne tuttavia violato dai partigiani del posto che ai primi di luglio, presso il ponte di Spedina, catturarono altri due soldati, scaraventandone uno da un burrone e lasciandosi scappare il secondo che, raggiunti i suoi commilitoni, dette l’allarme. Successivamente, la mattina del 17 luglio, la stessa banda, appostata su una collinetta, attaccò una pattuglia tedesca uccidendo un soldato e scagliando una bomba a mano contro l’autoambulanza sopraggiunta dal vicino ospedale militare di Villa Fantino. Il 17 luglio, dopo appena un’ora dall’agguato, una seconda pattuglia tedesca rinforzata da squadre provenienti da Marradi, arrivava sul posto, interrogava due contadini intenti alla mietitura: mentre uno affermava di avere visto i partigiani imboscarsi e fuggire dopo l’attentato, l’altro taceva e veniva ucciso perché ritenuto complice. La rappresaglia partì poi dal podere Prato con lo sterminio dell’intera famiglia Beltrami, cui apparteneva uno dei partigiani responsabili dell’attacco. I tedeschi rastrellarono tutti gli uomini che trovarono, li raccolsero presso Villa Mazza, sede del comando, poi li trasferirono sulle rive del Lamone e qui li fucilarono. Soltanto uno dei prigionieri, Giuseppe Mariano Maretti, sopravvisse all’esecuzione, morendo poi nel 1948 in seguito alle ferite riportate quel giorno. Convocato il parroco, Don Fortunato Trioschi, e altri due contadini sul luogo dell’eccidio, i tedeschi li costrinsero a scavare una fossa e li fucilarono sul posto. Il 18 luglio l’operazione proseguì a Fantino con l’invasione di casa Caroli, in località Mengacci: gli uomini, quattro, furono trattenuti nell’edificio, mentre le donne e i bambini furono portati, attraverso il castagneto, in una grotta naturale e lì sorvegliati con una mitragliatrice. Quando le donne ed i bambini, che erano stati rilasciati, tornarono verso il podere in fiamme, trovarono una scena agghiacciante due uomini assassinati con il colpo di pistola alla nuca e due legati ai materassi e asfissiati. Un altro reparto, nazi-fascista, frattanto, era impegnato nella ricerca e nell’assassinio di contadini rimasti a Castellara, Castellina, Cerreto, Lozzole e Campergozzole. La mattanza si concluse la sera del 18 luglio, con un bilancio di 44 vittime nell’area Crespino, Fantino e Lozzole. Anche se la documentazione tedesca non fa espressamente riferimento alla strage, sembra di poter ricostruire la presenza sul territorio di unità di polizia tedesca o miste italo-tedesche, come il III Polizei Freiwilligen Bataillon Italien, il cui trasferimento presso l’Appennino è dato certo. Da allora ogni anno si commemora l’eccidio con una testimonianza che si rinnova per sottolineare come la gente di Marradi, e della Valle del Lamone non dimentica il sacrificio di quanti consapevoli ed inconsapevoli si immolarono con la stessa dignità e fierezza che molto tempo prima i loro padri il 24 luglio 1358 alle Scalelle avevano dimostrato fermando la compagnia tedesca di ventura del conte Lando. Quando avvennero i luttuosi fatti, mio nonno era a Mauthausen. Nella memoria comune, i partigiani avevano, come ha riportato nel suo libro Valeria Trupiani: “le loro colpe rubavano in casa dei benestanti, ostentavano simboli comunisti compiendo operazioni contro i soldati tedeschi senza avere il corraggio di affrontarli a viso aperto”. Tuttavia la Trupiani ha anche aggiunto: “Quei giovani, che abbiamo denominato, così detti partigiani, avevano il diritto e il dovere di nascondersi tra le montagne per non farsi catturare e rischiare la morte o la deportazione in Germania”. Forse la strage sarebbe accaduta lo stesso ma in quelle vicende i partigiani non ebbero un comportamento esemplare, ne tanto meno eroico. Eppure certa retorica ideologica nelle ricorrenze degli ultimi anni ha rimosso parte della verità storica, o parte dei pregiudizi. Ricordo di quando mio nonno, che come vice sindaco e deportato a Mauthausen aveva titolo istituzionale e morale per partecipare a alla commemorazione, mi raccontava che al pranzo con il vescovo gli “girarono il piatto”. I tempi sono cambiati i crespinesi che si opposero duramente, nel 1964, quando l’Amministrazione Comunale inaugurò la parte superiore del sacrario, all’affissione dei manifesti dell’ANPI in cui c’era scritto W i partigiani W la Resistenza, convivono con labari, medaglieri dell’ANPI e garibaldini ed ai buffet, preparati con cura dalle donne di Crespino, nessuno più si vede girare il piatto.