
domenica 11 maggio
In occasione della ricorrenza del 25 Aprile 1945 in Italia, 8 maggio in Europa (giorno della resa del nazismo) è stato giusto e doveroso ricordare la liberazione dalla guerra, dal nazismo e dal fascismo anche se bisognerà aspettare la notte fra il 9 ed il 10 novembre 1989, momento storico della caduta del Muro di Berlino, per vedere completata la liberazione della parte orientale dell’Europa caduta dopo l’oppressione nazista nell’altrettanto odiosa ed efferata tirannide comunista. E stato giusto onorare tutti i resistenti: i nostri giovani combattenti e tutti quegli altri giovani, americani, inglesi, francesi, ebrei e polacchi, dei tanti paesi alleati, che versarono il loro sangue. Senza di loro, il sacrificio dei nostri partigiani sarebbe stato vano. Con rispetto dobbiamo ricordare, anche quelli che in buona fede hanno combattuto dalla parte sbagliata sacrificando la propria vita ai propri ideali e ad una causa già perduta. Quello che non mi è piaciuto anche quest’anno è stato assistere alla falsa e strumentale liturgia dell’apologia di ex fascisti diventati eroi e medaglie dell’antifascismo. Ci sono ancora troppi cattivi maestri comunisti e troppi opportunisti, passati alla resistenza in tarda età, che vorrebbero ergersi a paladini della democrazia. Ricordiamo ai giovani come una gran parte dell’Italia che prima di essere comunista fu in tanta parte così fascista, non ha ancora avuto il coraggio di porre fine a ottant’anni anni di nebbia densa di imbarazzo, rimarcando l’ipocrisia, la, fragilità, lo spirito di accomodamento, anche la pavidità, di cui diede prova larghissima parte degli italiani, intellettuali in testa, che, come lamentò l’esule Salvemini, avevano baldanzosamente esibito le loro idee socialiste, comuniste e cattoliche solo in tempi di bonaccia…”.Sarebbe ora che il “tabù” fosse smascherato. Un’opera non di revisionismo, ma piuttosto una corretta e necessaria operazione di rimozione di falsità, menzogne e silenzi imposti, dalla cultura comunista prima poi di sinistra, alla storia italiana degli ultimi 80 anni. Bisogna dire ai giovani che i partigiani comunisti non aspiravano alla democrazia ma all’instaurazione della dittatura comunista nel nostro Paese ed è per questo che si accanirono sui partigiani non comunisti, soprattutto quelli che non accettavano la loro egemonia, e sui tanti silenziosi ed innocenti non comunisti. Rileggiamoci: “Il sangue dei vinti” Quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile, o “la Grande Bugia” di Giampaolo Pansa o “Vincitori e vinti” di Bruno Vespa, che raccontano anche gli eccidi commessi dai partigiani comunisti. Ricordiamo come fra i delitti più odiosi sia da annoverare l’assassinio di Marino Pascoli, giovane giornalista e comandante partigiano di fede mazziniana e del Beato Rolando Rivi, seminarista quattordicenne martire per la fede assassinato dai partigiani comunisti per essersi rifiutato di consegnare la tonaca. Pascoli raccontò su La Voce di Romagna del 6 dicembre 1947: “Prima di tutto dobbiamo distinguere i partigiani veri dai partigiani falsi. I partigiani veri sono coloro che hanno corso sul serio dei rischi, che hanno combattuto con fede per la liberazione d’Italia e questi, a dir il vero, sono pochi. I partigiani falsi che purtroppo sono la maggioranza, sono coloro che hanno fatto i teppisti mascherati, i collezionisti di omicidi, e che andarono in giro col mitra, quando non vi era più pericolo, a fare gli eroi. Questa gente anche se è riuscita a munirsi di un brevetto o di un certificato, anche se oggi milita indebitamente nelle fila dei partigiani, non bisogna avere nessuna esitazione a chiamarla teppa. Teppa da reato comune, macchiata di sangue, di prepotenza e di ricatti Attenzione, partigiani veri, partigiani onesti, partigiani italiani e rimasti italiani, a non seguire coloro che vogliono vendere l’Italia allo straniero, altrimenti il vostro sacrificio sarebbe stato vano…L’organizzazione militare delle Brigate Garibaldine venne creata più tardi a rivoluzione d’Aprile conclusa. Quando contati i partigiani, rimpolpate le formazioni, aumentati gli effettivi, organizzate le forze comuniste e muniti i comandi di timbri e carta intestata, si procedette alla farsa della smobilitazione delle forze comuniste, si svolgeva, invecen un’opera diametralmente opposta quella cioè di inquadrare ed organizzare per l’avvenire queste forze per un eventuale colpo di Stato…”

Rolando Rivi, seminarista quattordicenne, assassinato il 13 aprile 1945 da una pattuglia di partigiani rossi. In quel periodo le simpatie del ragazzo seminarista andavano per gli uomini delle “Fiamme Verdi»”della brigata «Italia», una formazione partigiana di ispirazione cattolica organizzata da don Domenico Orlandini, che aveva il nome di battaglia “Carlo”. Un giorno viene deriso dai partigiani comunisti che scorrazzano per le colline attorno a San Valentino di Reggio Emilia. Il 10 aprile, martedì, al mattino presto Rolando va in chiesa, assiste alla celebrazione, prega, suona l’organo accompagnando i cantori, tra i quali c’è suo papà Roberto. Quindi torna a casa e mentre i suoi genitori vanno a lavorare i campi lui prende i libri sottobraccio e si reca come al solito a studiare nel boschetto a pochi passi da casa. Indossa come sempre la talare nera. A mezzogiorno, non vedendolo tornare il padre il parroco vanno a cercarlo. Trovano un biglietto: «Non cercatelo, viene un momento con noi partigiani». Alcuni partigiani comunisti lo hanno portato nella loro base, lo hanno spogliato della tonaca, lo sbeffeggiano. Lui dice: «Sono un ragazzo, sì, un seminarista… e non ho fatto nulla di male». Viene percosso a cinghiate. Rolando piange, prega, chiede pietà. È soltanto un ragazzo. Qualcuno dei partigiani si commuove e propone di lasciarlo andare, ma gli altri si rifiutano. Decidono di ucciderlo. Lo portano in un bosco presso Piane di Monchio, in provincia di Modena. Rivi si ritrova davanti alla fossa già scavata, implora di avere salva la vita. Gli rispondono con un calcio. Allora si inginocchia e dice: “Voglio pregare per la mia mamma e il mio papà”. Forse prega per i suoi stessi uccisori. Due scariche di rivoltella lo fanno rotolare a terra in una pozza di sangue. I partigiani lo coprono con qualche palata di terra e di foglie secche. La veste da prete diventa prima un pallone con cui giocare, poi viene appesa come trofeo di guerra sotto il porticato di una chiesa vicina. È il 13 aprile 1945. Il padre Roberto e il giovane curato di San Valentino, vanno a cercarlo nei boschi e per i paesi. Mentre camminano, incrociano un capo partigiano. Gli domandano: «Dov’è il seminarista Rivi?». Quello risponde: “È stato ucciso qui, l’ho ucciso io, ma sono perfettamente tranquillo”
Rodolfo Ridolfi
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