domenica 28 giugno
Finalmente la sua città, ma anche il centro studi campaniani Enrico Consolini di Marradi, L’accademia “Il Fauno” e l’Accademia degli Incamminati rendono un doveroso tributo al grande scrittore Michele Campana (Modigliana, Forlì, 1885 – Firenze, 1968). Scrittore, poeta, giornalista, conosce in collegio il suo coetaneo Dino Campana di cui non è parente stretto ma con il quale condivide lo stesso ceppo marradese. Trasferitosi a Firenze dove il padre apre una trattoria, continua a studiare da autodidatta ed è proprio ai tavoli della trattoria che conosce Mario Ferrigni, direttore del quotidiano democratico fiorentino “Il Nuovo giornale”, che gli offre un posto, prima come collaboratore poi come redattore. Comincia da questo momento un’intensa attività giornalistica presso numerose testate – “Il giornale del commercio”, La Toscana”, “Fantastica”, “L’Arena”, “Il popolo d’Italia”, “Corriere della Sera”, “La stampa”, “Corriere padano” – e una copiosa produzione narrativa e lirica: “Rime giovanili” (1904), “In paganìa” (1911), “Un anno sul Pasubio” (1916), “Perché ho ucciso?” (1916), “Creature” (1927), “In Romagna” (1931), “La musicalità della lingua italiana” (1934), “Il figlio dell’eroe” (1938), “Sotto il sole di Rimini” (1939), “Motivi” (1934) e “Altri motivi” (1939). Dopo la caduta del fascismo, al quale aderisce fin dagli esordi, deve accettare l’ospitalità di parenti e vivere modestamente fino a che, nel 1948, gli viene offerto il posto di capo cronista de “Il Tirreno” e può così riprendere l’attività giornalistica. Negli anni sessanta escono nuove opere letterarie, soprattutto poetiche: “Gioia di lotte” (1955), “Tre squilli” (1959), “Salire” (1960), “Fiamma dall’ombre” (1962), “Marameo con dieci dita” (1961).
Nel 1957, Manlio Campana, fratello del poeta, chiese a Michele Campana di togliere dalle future edizioni della poesia Salgo per scale nere (Tre squilli, Firenze, “il Fauno”, 1957, p. 8) la dedica seguente: «A Manlio Campana nel nome del suo infelice fratello Dino».
In una lettera inedita a Michele Campana del 24 agosto 1957, così il fratello del poeta di Marradi giustificava la sua richiesta:
[..] per il riferimento a Dino – che mi riguarda e che ho l’impressione mi debba opprimere in eterno […] e per l’uso, nel riferimento, del termine sostanzialmente esatto (che anzi Lui è stato, come ben dici, veramente infelicissimo nella vita e nella morte) ma che non mi piace perché (da qualche tempo in qua) questa locuzione è divenuta per il poeta quasi una stabile appendice di pietismo equivoco in surrogazione di “dissennato” o “pazzo perenne”; tutto il contrario di quello che intendevi tu, e che tutti, con te, intendono per gli altri grandi: un fatto, cioè, fisico, accessorio, puramente accidentale, come un colorante della loro luce; mentre, per il Nostro, si tende ad usarlo, ad assumerlo, come un fattore essenziale e specifico della sua personalità e di tutta l’arte sua, cercandosi ogni labile e torta via per confondere l’una e l’altra insieme.
Michele Campana che, con il suo “Danze di fronte al mare” del 1931, aveva costruito una sorta di guida eroico/poetica di quella Riviera romagnola sentita e descritta come tempio della lussuria ai cui tentacoli anche un uomo temprato dalla salda fede fascista avrebbe faticato a resistere. Una Riviera che, comunque, per la sua romagnolità e per essere stata scelta dal Duce per i riposi marini della sua famiglia e della sua amante, aveva in sé anche il gene della rigenerazione e del riscatto.
Una Riviera che Campana riprende a descrivere nel suo racconto “Sotto il sole di Rimini” del 1939], ambientandovi tutti i luoghi comuni possibili in fatto di etica e di retorica fascista, di sentimento popolare, di fede politica e religiosa. Facendone il terreno di incontro e di scontro dei suoi personaggi e delle contraddizioni loro e dei tempi. Personaggi e sentimenti ai quali Campana non esita a dare ben definita collocazione, anche geografica: il buono e il sano hanno le loro radici nella terra, nel rude appennino che ha dato i natali al Duce; il cattivo, il peccato e la lussuria allignano là, sulla Riviera dagli ammalianti e perfidi bagliori.
Ma, oltre ad offrirci gustosissimi quadretti romagnol-fascisti scritti con buona penna, il racconto di Campana, a distanza di quasi un secolo, diventa un documento prezioso per comprendere lo stato della fama di un luogo che, in quegli anni, stava mutando profondamente e sempre più velocemente la sua dimensione geografica, economica, culturale e sociale, e che stava per dare l’avvio a quell’esplosione quantitativa che caratterizzerà gli anni Cinquanta e Sessanta nei quali diventerà, nella percezione dei vacanzieri europei, la grande metropoli della divertimento.