mercoledì 6 luglio 2022 molto volentieri pubblichiamo una riflessione di Giovanni Tonelli del 2002
Non posso nascondere di provare un po’ di disagio nello scrivere di Dino Campana oggi.
Oggi, dopo l’uscita del film presentato a Venezia, che lo ha improvvisamente fatto conoscere al grande pubblico.
Un caro amico poeta, sinceramente Campaniano mi ha detto:”…se almeno il film spingesse anche solo una persona a leggere i Canti Orfici…”
Leggere i Canti Orfici, ecco il modo più diretto per avvicinarsi a Campana .Leggerli e basta,col rischio di restare perplessi e disorientati, come è successo a me dopo la prima lettura. Ma senza restare condizionati dalla diffidenza o dalla pietà umana che inevitabilmente ci attanaglia dopo che
si è stati informati sulla travagliata vita del poeta di Marradi.
Io ho sentito pronunciare per la prima volta il nome di Campana da Giuseppe Cangini, compositore di Forlì. Mi trovavo in treno e lamentavo la carenza di musicalità di tanta poesia moderna quando
l’amico musicista: “Campana! Ha mai letto Campana?…”non so se tra rocce il tuo pallido/viso m’apparve, o sorriso/di lontananze ignote /fosti…” Era “La Chimera”. Lo stesso giorno, acquistato il libro dei “Canti Orfici”, iniziò la mia conoscenza del nostro poeta. Un impatto duro, non accattivante. Un linguaggio ricco, alto,. aristocratico, senza
compromessi. Poi, gradatamente, scivolai attraverso le visioni di ponti ed archi e sagome nere di zingari in quella mistica atmosfera…era “la Notte”…Campana si presenta così, all’inizio dei “Canti Orfici, con quella prosa poetica che tanto lo caratterizza. E poi le liriche. E prima, a prenderci per mano “La Chimera”. Questo primo impatto si trasformò ben presto in una passione che mi spinse a realizzare ben quattro spettacoli teatrali su Dino Campana ed alla scrittura di un atto unico,”Varcando il ponte”, il tutto nel giro di un paio di anni. Ma…procediamo con ordine. Quale che sia la ragione che ci ha spinto a leggere le poesie di Campana, o l’amico musicista o il film, ora abbiamo di fronte questo libro.Apriamolo a caso…
…Vasto, dentro un odor tenue vanito/Di catrame, vegliato da le lune/Elettriche, sul mare appena vivo/Il vasto porto si addome./S’alza la nube delle ciminiere/Mentre il porto in un dolce scricchiolio/Dei cordami s’addorme…
Proviamo ora a leggere questi versi ad alta voce…la musica, ecco che esce la musica.E l’aspetto fonetico-musicale è di grande rilievo nel poeta di Marradi. Come lo è la conoscenza profonda che Campana aveva dei contemporanei. “Il vasto porto s’addorme “…questi sono versi dannunziani, alla faccia di chi vuole contrapporre il nostro al Vate…
Campana era poeta colto. Conosceva D’Annunzio, Whitman, Rimbaud. Ebbe una infatuazione per Nietzsche, per le sue teorie che il nostro”…tenta disperatamente di vivere, di attuare nei limiti e nell’ambito di una vita miserabile…con la dedizione e l’innocenza del credente, dell’iniziato,
dell’uomo che vuole elevarsi idealmente verso la bellezza apollinea, nobilitarsi alla luce dell’assoluto contro tutte le viltà e le povertà del quotidiano e del comune, anzi attraversando il fuoco della più amara e dionisiaca ebbrezza…per risvegliarsi nell’azzurro.”(Bonifazi)
Altro che il povero “matto del villaggio” che poteva parere ad alcuni suoi contemporanei… Ed ecco che il marchio è uscito fuori. La parola “matto” intendo. Campana fu inseguito per tutta la vita e poi raggiunto dalla follia. Rinchiuso nel 1906 ad Imola e poi rilasciato (vi resta dal 4 settembre al 31 ottobre),perseguitato da un’ansia ossessiva che gli faceva cambiare continuamente luogo,cercò tuttavia disperatamente di vivere disperatamente…ecco l’immenso uso degli avverbi
melodiosamente ripetuti, instancabilmente,ininterrottamente…
Un ritmo musicale, sensazioni di classicità, di atemporalità, di tensione verso l’assoluto…
…qual ponte, muti chiedemmo, qual ponte abbiamo noi gettato sull’infinito,che tutto ci appare
ombra di eternità? Ecco, ecco il ponte che Campana gettò tra la poesia ottocentesca e i moderni.
E l’amore,quella unica intensa passione che lo legò a Sibilla Aleramo(ecco il film)e che forse provocò la rottura di quel fragile equilibrio…causando il definitivo internamento nel manicomio di Castel Pulci nel 1918, dove il poeta resterà sino alla morte, avvenuta il primo marzo del 1932. Ed alla vanità delle umane passioni, anche delle più intense, il nostro Dino si riferisce in questi versi, dedicati proprio a lei, a Sibilla…”Vi amai nella città dove per sole/Strade si posa il passo illanguidito/Dove una pace tenera che piove/A sera il cuor non sazio e non pentito/Volge a un’ambigua primavera in viole/Lontane sopra il cielo impallidito…” Ecco il Dino Campana che ho amato e che continuo ad amare, nonostante il film…il grande poeta che tuttora mi fa rabbrividire quando le mie labbra, in questa sera di ottobre, sussurrano… Oro, farfalla dorata polverosa perché sono spuntati i fiori del cardo?In un tramonto di torricelle rosse perché pensavo ad Olimpia che aveva i denti di perla la prima volta che la vidi nella prima gioventù?…
Giovanni Tonelli 02 ottobre 2002